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Nella storia dell’industria nazionale c’è un nome che, per motivi politici più che storici, viene appena sussurrato, sommessamente assopito nella memoria di pochi veri appassionati di storia che – a distanza di quasi un secolo – ricordano ancora un’epoca pionieristica e florida carica di contrasti sociali.
L’industria nazionale deve gran parte di quello che oggi è ad alcuni dirigenti pubblici. Ugo Gobbato è un ingegnere dalla visione rivoluzionaria, che arriva all’Alfa Romeo dopo aver realizzato importanti progetti con la Fiat.
In un periodo particolarmente difficile, tra il vigoroso affermarsi di ideali autarchici e il secondo conflitto mondiale, resta vittima di una giustizia sommaria invocata per le strade quanto nelle fabbriche da improvvisati e spesso ingiusti tribunali del popolo.
La sua esperienza personale si intreccia a quella degli operai tanto quanto a quella del potere, costantemente in bilico tra i fragili equilibri politici della statalizzazione, di azioni svalutate e di interessi bancari e perché no, anche di quell’idea un po’ romantica di Nicola Romeo, che nel potenziale dell’A.L.F.A. aveva creduto sin dal primo momento.
La sua abile e prolifera esperienza dura un ventennio, dal primo conflitto all’esperienza americana, dalla nascita del Lingotto di Torino al nuovo polo aeronautico di Pomigliano d’Arco, passando per il piano di rilancio industriale dell’Alfa Romeo alla riconversione bellica, sino a quel tragico epilogo del 28 aprile 1945, quando per pretestuosa cecità il Paese viene privato di uno dei dirigenti più illuminati della sua storia.
Leggerete della sua vita e dei suoi indiscutibili successi. Ma anche della sua morte e di quella sentenza di assoluzione per i rei che, anche attraverso il commento giuridico, non lascia spazio all’interpretazione, ma molto al rammarico.